L'eccidio nazista del 6 settembre 1943

A cura della Dott.ssa Donatella Arcuri.

Il 1943 è, per la Calabria, l’anno della guerra guerreggiata. Fino ad allora il secondo conflitto mondiale appariva una cosa relativamente lontana, di nostri soldati calabresi nei diversi fronti e di fronti lontani, appunto, in città del Nord e in territori stranieri. La situazione è completamente cambiata a partire dal gennaio del 1943, quando sui cieli delle nostre città e dei nostri paesi compaiono i primi bombardieri americani, che si alzano in volo dalle piste del Nord Africa e di Malta. Da gennaio a luglio l’aviazione americana e la Raf inglese martellano incessantemente il territorio calabrese: più di sessanta città e paesi vengono colpiti ripetutamente. Le vittime-si tratta naturalmente di vittime civili-sono in numero elevatissimo, in territori privi di qualunque protezione, senza rifugi antiaerei, se non quelli legati ad iniziative di singole Amministrazioni, Comunità o gruppi familiari, e senza sistemi efficienti di allarme. A gennaio del’43 una distruttiva incursione, nello stesso pomeriggio, su Cittanova, Amantea e Gioia Tauro, fa contare un numero imponente di vittime, quasi duecento. Il 6 maggio è la volta delle cosiddette “fortezze volanti” americane sulla città di Reggio Calabria dove si conteranno 150 morti e 278 feriti. Dovunque, nella nostra provincia, vengono colpiti strutture civili, depositi, stazioni, aeroporti. Ma anche Catanzaro e Cosenza non saranno risparmiate dai bombardamenti delle forze alleate. Gli sfollati sono dappertutto, sciamano nella regione, dirigendosi verso centri che sembrano essere situati fuori dalle rotte dei bombardieri, o comunque più appartati e sicuri. E’ appunto il caso di Rizziconi, operoso e importante centro agricolo della Piana di Gioia Tauro, che conta allora circa cinquemila abitanti, diventati più del doppio nel momento in cui, in seguito alle incursioni aeree diventate quotidiane, il paese diventa sede di sfollati, provenienti da tutta la regione. Si scavano rifugi nei costoni presenti in tutto il territorio; si adattano frantoi, granai, pagliai e spazi sotterranei per ospitare gli sfollati. Il Comune affitta da privati, per concederle ai profughi, balle di fieno sulle quali dormire. Dalla tarda primavera del ’43-ma su questo elemento non abbiamo dati temporali precisi ai quali attingere-numerosi contingenti tedeschi sono presenti, con depositi di armi e mezzi militari, nella Piana di Gioia Tauro, dove il Comando Tedesco, di stanza a Taurianova, pensava sarebbero sbarcati gli anglo-americani. Si tratta di contingenti della 29.ma Panzer Grenadier Division, a supporto della 211.ma Divisione Costiera, acquartierata a Cittanova, e del 53.mo Reggimento dell’Esercito Italiano. Un altro Reggimento della Wehrmacht, il 15.mo, è presente sullo stretto. A Rizziconi, in particolare, le forze tedesche si trovano dislocate in più punti della periferia del paese: Contrada Li Morti, Contrada Vena, Santa Maria, Chiusa, Cannavà. Sono al comando del Generale di brigata Friese appartengono al 71.mo Reggimento. Non sono presenti invece, in nessun punto del territorio, le famigerate SS. E non risulta inoltre, coinvolto in alcuna azione ostile dell’estate del’43, l’Esercito Italiano. I rapporti con la Comunità di Rizziconi non sono segnati da particolare ostilità: e del resto i tedeschi sono formalmente nostri alleati e dunque né invasori né occupanti. E tuttavia gli elementi del racconto che riguarda la vita dei piccoli contingenti acquartierati nella zona sono in genere intrisi di accenti fortemente soggettivi ed in parte mitologici. E’ mancato, ma non soltanto nel caso di Rizziconi, il salto, così necessario alla Storia, dal racconto emozionale, e appunto soggettivo e privato, allo spazio pubblico che potesse assumersi, prendere in carico e portare la responsabilità di quel racconto. Significativo, ad esempio, il fatto che molti elementi che riguardano la presenza tedesca nel territorio, ed in particolare il rapporto di quelle forze con le Comunità, attraversi trasversalmente i racconti orali che riguardano molti paesi: in tutti c’è, per esempio, il tedesco buono e competente, forse un medico, che fornisce il farmaco miracoloso per salvare la vita a qualcuno. In molti ci sono ragazzoni tedeschi alle prese con frutti mai visti, i fichi d’India, che qualcuno ribattezza “fichi d’Italia”, che vorrebbero ingurgitare con tutto l’apparato di spine.
2Questo clima di relativa quiete viene interrotto molto prima dell’armistizio, già a luglio, in prima istanza con lo sbarco alleato in Sicilia del 10 e poi, con la destituzione e l’arresto di Mussolini, dal 25. Da quel momento, con otto Divisioni Tedesche che arrivano dal Brennero in Sicilia, la storiografia segnala un’occupazione a freddo dell’Italia: il piano Alarich relega di fatto l’Italia al ruolo di “alleato occupato”. A partire da quello snodo tutto cambia rapidamente, in quella cruciale estate. La lunga scia di stragi naziste, un lungo stillicidio di episodi che insanguina la Sicilia già dalla fine di luglio (da Canicattì a Mascalucia, da Castiglione di Sicilia a Troina) e comunque prima dell’armistizio, matura nel clima di reciproca sfiducia e ostilità che si è ormai instaurato tra il nuovo governo italiano, succeduto alla caduta del Fascismo e all’arresto di Mussolini, e la Germania nazista. I tedeschi hanno ormai dubbi consistenti circa l’affidabilità italiana, sia quella militare, sia quella relativa alla lealtà delle popolazioni. Subodorano il tradimento, molto prima dell’otto settembre, e si comportano di conseguenza. I 17 episodi siciliani, con sessanta vittime, e tre su quattro degli episodi calabresi, con venti vittime, avvengono tutti prima dell’armistizio, nel quadro di un difficile controllo del territorio e di una imminente e ingloriosa ritirata. Razzie, furti e soprusi ai danni delle popolazioni, sono all’ordine del giorno e vengono segnalati sistematicamente ai Prefetti, spesso dai Sindaci. Il 3 settembre sbarca, in un tratto di costa tra Reggio e Catona, l’Ottava Armata del Generale Montgomery, con l’Operazione Baytown. E’ quello anche il giorno dell’Armistizio di Cassibile, che sarà reso noto, solo l’otto settembre, con un ipocrita e ambiguo comunicato radiofonico rivolto al popolo italiano. Dopo lo sbarco, la Quinta Divisione Inglese avanza lungo la costa tirrenica, mentre la Prima Divisione Canadese si dirige verso l’Aspromonte per poi ridiscendere sulla costa Ionica. Inizia una partita difficile tra alleati che avanzano e tedeschi che cercano di rallentare e ostacolare questa avanzata con azioni di sabotaggio distruttive, danneggiando strade, viadotti, ferrovie, facendo saltare ponti (come quello sul Petrace) e utilizzando pesantemente le artiglierie. E’ in questo contesto convulso e confuso che si colloca la strage di Rizziconi, con diciassette morti e ventitré feriti, iniziata il 6 settembre ed andata avanti per ventiquattro ore, fino al pomeriggio del 7.L’ Atlante delle stragi naziste e fasciste in Italia, l’opera imponente e decisiva che mappa e classifica le stragi naziste avvenute in tutto il territorio italiano tra il’43 e il ’45, include e classifica l’eccidio di Rizziconi, del 6 settembre, come uno dei 691 “massacri della ritirata”, il 18,3% del totale delle stragi perpetrate in Italia fino al ‘45, con 2.528 vittime. L’episodio di Rizziconi, a lungo misconosciuto, ha trovato finalmente, nel 2015/2016, il suo posto nella Storia. L’eccidio di Rizziconi, con reparti in ritirata che sventagliano il paese appena abbandonato, con quali conseguenze vedremo, ci parla inequivocabilmente della frustrazione tedesca per l’imminente sconfitta, ci dice di un desiderio di vendetta e del prevedibile “farsi nemici” dei tedeschi, gradatamente a partire da luglio. I rizziconesi sono puniti preventivamente: lo meritano perché è indubbio che si stiano preparando ad accogliere i “liberatori” americani e comunque pesa su di loro lo stereotipo, fornito di norma al soldato tedesco, di una popolazione italiana, e soprattutto meridionale, vile, ignorante e complessivamente inferiore. Il giorno 5 settembre il Generalmajor Fries dispone la ritirata delle sue truppe verso Nord, lungo la direttrice Nicotera-Laureana. Ma già nella notte tra il 4 e il 5 le truppe tedesche accampate nella periferia del paese, dove si trovava anche un imponente deposito di armi, avevano cominciato la smobilitazione, evacuando la zona e dirigendosi verso Rosarno e verso le alture del monte Poro, dopo aver interrato frettolosamente munizioni ed armi pesanti di difficile trasferimento. Del tutto improvviso ed inatteso è dunque, per il paese, peraltro strategicamente insignificante e del tutto assente dalle mappe militari tedesche, il fitto, intenso cannoneggiamento che colpisce il centro abitato, intorno alle 13 del 6 settembre, protraendosi per quasi 24 ore e interessando più quartieri. Si è trattato di un cannoneggiamento volontario, appunto un massacro in ritirata da parte –presumibilmente-degli stessi reparti presenti in paese nei mesi precedenti. I cannoni, caricati a shrapnel, sparano dalle alture del monte Poro: i tedeschi conoscono bene il paese, le strade, le piazze, i rifugi. Restano sulla polvere della strada 16 persone innocenti: tra di loro molti bambini e
3ragazzi. Una diciassettesima vittima morirà, nell’ospedale di Taurianova, due settimane più tardi. I feriti saranno 23. Nel drammatico scenario di sangue e disperazione un giovane prete, Don Francesco Riso, soccorre le vittime, copre i morti, sottraendoli alle offese di cani e maiali che girano liberi sulle strade; un medico, il dottore Gioffré, nonostante il suo piccolo ambulatorio sia stato raggiunto da più schegge, è lì a medicare e curare i feriti, assistito dalla sua infermiera Donna Lisa. Bisogna ora fare un passo indietro e ricostruire la scena del cannoneggiamento sul paese. Nella tarda mattinata del 6 settembre, quando, dopo la smobilitazione dei reparti tedeschi, il paese sembrava in procinto di riacquistare una sua normalità, qualcuno-le testimonianze orali concordano sui nomi di Domenico Russo ed Espedito Mazzara-sale in cima al campanile della Chiesa matrice e issa, fissandolo ad un’asta di legno, un grande lenzuolo bianco, a mò di bandiera. Nelle intenzioni di Russo e Mazzara quello sarebbe stato un segnale, rivolto agli anglo americani in avanzata, destinato a segnalare che il paese era libero dalla presenza tedesca e ad evitare, quindi, azioni ostili da parte loro sull’abitato. Quel lenzuolo, al contrario, funziona da bersaglio per i tedeschi in ritirata, protetti dal fuoco di sbarramento di contingenti presenti a Rosarno, e li induce forse a credere che gli inglesi siano già in paese, accolti come liberatori. Dalle alture dove si trovavano-schierati a difesa della linea Nicotera-Laureana di Borrello-i tedeschi iniziano il fitto cannoneggiamento sull’abitato di Rizziconi. A questa versione, largamente accreditata da testimoni oculari, si affianca quella –significativamente diversa e in qualche modo alternativa, ma anch’essa munita di alcune prove-secondo la quale il lenzuolo sarebbe stato esposto, come indice di resa, a cannoneggiamento già iniziato. Questa seconda versione dei fatti contiene in sé, comunque, la necessità di una spiegazione preliminare delle cause della violentissima azione sul paese da parte tedesca, che si sarebbe cercato di contenere con l’esposizione della bandiera bianca. Si fa infatti riferimento a contatti tra inglesi e popolazione civile che avrebbero tagliato i fili del ponte radio tra reparti tedeschi e 53.mo Reggimento dell’Esercito Italiano. L’operazione sarebbe stata scoperta e vendicata con l’uccisione dei due inglesi coinvolti. Non abbiamo in realtà nessuna traccia documentale pesante di questo taglio dei fili, se non le due-tre righe dedicate alla vicenda nei Diari di Fortunato Seminara pubblicati a cura di Pesenti Rossi. In queste righe–peraltro-le date del cannoneggiamento nazista su Rizziconi sono stranamente e impropriamente retrocesse al 3 settembre, e non abbiamo nessuna notizia di alcuna presenza inglese, a quella data, che è anche quella dello sbarco, o addirittura prima dello sbarco, di presenze inglesi nel territorio. C’è ancora da osservare che l’accusa di avere tagliato i fili del telegrafo e avere interrotto il ponte radio –siamo a Taurianova, in contrada Micigallo, dove è accampato un contingente della 29.a Panzer Grenadier, ed è ancora agosto-è quella stessa che porta all’arresto e alla fucilazione, immediata, dell’antifascista Cipriano Scarfò. La tesi di un contatto tra una non meglio identificata popolazione civile e inglesi, che avrebbe poi scatenato la rappresaglia, con un significativo ritardo sulle consuetudini militari tedesche (basta pensare al Massacro delle Ardeatine, che segue a meno di ventiquattro ore l’attentato di via Rasella) e l’assenza di dati su quei contatti e sui tempi, del tutto incerti, non sembra proponibile senza un margine decisamente troppo elevato di dubbio. A fronte di questa incertezza e labilità della versione “taglio dei fili e contatti con gli inglesi”, la precedente versione - “bandiera bianca di segnalazione agli alleati in avanzata” - che appare avvolta nella nebbia del mito e del folklore, ha invece, dalla sua, una credibilità legata all’istintiva risposta delle popolazioni civili all’arrivo dei liberatori o presunti tali. Già in Sicilia, per esempio alla Figurella di san Giovanni, o in Campania, per esempio a Bellona o Conca di Campania, le segnalazioni con bandiere bianche agli alleati che stanno per sbarcare, o quelle luminose con lanterne da masserie di campagna, sono state pratica abituale e ricorrente. In tutti i casi sono seguite rappresaglie sanguinose e indiscriminate, come è appunto avvenuto a Rizziconi. L’eccidio del 6 settembre 1943 è attribuito, secondo fonti canadesi, al gruppo di battaglia al comando del colonnello Krueger (71.mo Pz.Gren. Rgt) che si era reso operativo proprio la sera del 5 settembre e risulta formato, all’interno del 71.mo Rgt, da un battaglione di artiglieria (il 4 reparto 129-Esploratori), due battaglioni di artiglieria antiaerea, una stazione radio e personale medico, come riportato anche nella scheda sintetica annessa all’Atlante delle stragi Naziste e Fasciste in Italia. Della strage di Rizziconi non vi è traccia nel famoso “armadio della vergogna” contenente centinaia di fascicoli, dimenticati e inevasi, il cui contenuto, eccidi e atrocità nazisti e fascisti, è rimasto sconosciuto agli italiani per parecchi decenni. La conoscenza di quei fatti, la loro trasmissione alle giovani generazioni, non è solo un dovere di memoria teso a costruire e rafforzare un’identità democratica del paese, ma è appunto un diritto dei più giovani e un segno di giustizia, l’unico possibile, nei confronti delle diciassette vittime.

ELENCO DELLE VITTIME
Bova Emilia, di anni 19
Bova Giuseppina, di anni 4
Bova Maria Rosa, di anni 13
Carlino Vincenzo, di anni 32
Coppola Carmine, di anni 56
Coppola Santo Espedito, di anni 9
Coppola Teodoro, di anni14
Costa Arturo, di anni 15
De Maria Giovanni, di anni 52
Forgione Petronilla, di anni 14
Lizzi Concetta, di anni 73
Nava Domenico, di anni 19
Papalia Antonino, di anni 73
Pappatico Elisabetta, di anni 52
Romeo Carmela, di anni 8
Scarfò Domenico, di anni 19
Sganga Carmela, di anni 13
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